Venerdì santo a Chieti
Francesco S. Selecchy: il “Miserere”
“Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam”. L’invocazione di David è la risposta umana al momento più alto della tragedia che consegna all’uomo il mistero della Redenzione. La tradizione della Settimana Santa recupera figure emblematiche come testimonianza dell’“abbandono alla misericordia del Signore” (Angelo G. Roncalli); voci umili, interpreti della ricchezza interiore di un popolo.
Francesco Saverio Selecchy è uno di questi simboli. La sua interpretazione musicale del Salmo 50 di David vive, ad oltre duecento anni dalla sua morte, nel patrimonio culturale e spirituale del popolo teatino e abruzzese.
Le umili origini non impedirono al giovane Selecchy di farsi apprezzare soprattutto per una naturale inclinazione verso la musica: Studiò presumibilmente presso il Seminario diocesano.
Ricevuti gli ordini minori, interruppe gli studi teologici prediligendo il linguaggio musicale alle meno congeniali speculazioni metafisiche. Aveva intanto acquistato una notevole padronanza dell’organo forse sotto la guida dell’organista del Duomo che lo avviò anche allo studio dell’armonia. Fu organista e maestro di cappella sostituto in varie chiese della città. Tuttavia è facile intuire che rimase fondamentalmente un “dilettante” come ipotizza anche T. Ciampella. Lo scarsissimo numero di composizioni (23 in tutto), la pressoché totale mancanza nella sua produzione di musiche liturgiche, nonostante la carica di Maestro di cappella del Duomo, sembrerebbe avvalorare tale ipotesi.
La perdita di tutte le sue opere impedisce una esatta valutazione critico-estetica della musica di Selecchy. Il “Miserere”, giunto a noi attraverso la tradizione orale, è insieme nucleo centrale della sua espressività musicale e forza gravitazionale nella quale il senso religioso popolare si carica di forti tensioni emotive. “Le note di questo Miserere … discendono al cuore della generazione che vive come la ricordanza dell’innocenza” (Francesco Vicoli).
Quando Selecchy iniziò a dirigere il coro della processione del Venerdì Santo, non era ancora Maestro di cappella né le musiche eseguite erano di sua composizione.
Acquistò tuttavia enorme prestigio anche per il fatto che tale compito era espletato “coram populo”.
Intanto maturava in lui l’idea di comporre qualche canto da inserire fra quelli più consueti. Doveva essere qualcosa di breve respiro che non occupasse molto tempo durante la processione.
Pensò ad una facile melodia con carattere responsoriale, doveva cioè essere cantata sempre con le stesse parole del primo versetto e intercalata con altri canti, magari con gli alti versetti dello stesso salmo, cantati in gregoriano. Questa ipotesi sembra molto vicina alla realtà.
Se il “Miserere” fosse stato concepito come modulo per versetti di salmo, diversi tra loro in estensione e ritmo, ciò avrebbe dovuto comportare un libero recitativo all’inizio di ogni emistichio.
L’evidente deformazione ritmica conseguente al posteriore, forzato adattamento agli altri versetti, potrebbe rivelare l’origine responsoriale.
La quale sembra inequivocabilmente confermata dalla ripetizione finale, sempre uguale delle parole “miserere mei Deus”. Per un modulo di salmo la cosa è inammissibile, perché contraria alla regola liturgica e ad ogni prassi paraliturgica, almeno per quei tempi.
La musica, nello spirito di preghiera collettiva, fu composta con carattere orecchiabile, probabilmente ad una voce, con possibilità di aggiunta della terza inferiore.
L’accompagnamento originale, se composto da Selecchy, era forse per organo.
E se, com’è possibile, oltre ai cantori partecipavano alla processione anche suonatori (di strumenti a fiato, essendo i violini probabilmente intervenuti con l’800 romantico), l’accompagnamento ha assunto, a poco a poco, carattere processionale e bandistico.
Taluni stilemi armonici e melodici, come la “processione di terze”, l’uso della 7^ diminuita, e l’inciso modulante del basso, possono essere attribuiti all’originale essendo in grande misura ricorrenti nella musica dell’epoca, e anche di epoche precedenti.
La costante incertezza tra modo minore e modo maggiore, che la melodia presenta per tutta la sua durata, alimenta la tensione, genera smarrimento e speranza.
Francesco Saverio Selecchy aveva tradotto in modo semplice per la gente umile il significato dell’Incarnazione, e offerto a Dio lo stupore di quella gente di fronte al segno tangibile della Rivelazione.
Sandro Bernabei