Prendendo spunto dal libro O dante o Benigni
di Amato Maria Bernabei,
alcune considerazioni sullo spettacolo “Tutto Dante” del comico toscano,
di Gianluigi Peretti
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Esiste un aforisma latino, derivato da un detto del pittore Apelle che, essendo stato criticato da un ciabattino su calzari da lui dipinti, sarebbe sbottato in: “Ne sutor ultra [supra] crepidam” (un calzolaio non vada oltre i calzari). Apelle insomma aveva rilevato che quel calzolaio era andato oltre le conoscenze dovute al suo mestiere. Un motto del genere nei nostri tempi si presta ancora a molte occasioni, quando cioè qualcuno non rispetta le competenze degli altri.
Si può circoscrivere il discorso, da parte nostra, alla categoria dei comici, che oggi appare spesso versatile e assai influente, tanto sono abili nell’intrattenimento e nell’imbonimento, al punto che li si può scambiare per dei politici nati, degni di lauree “honoris causa” (se non da Premio Nobel), depositari di qualità e giudizi inoppugnabili o comunque degni di rispetto. Non ci si soffermerà sui vari Beppe Grillo, Dario Fo, Maurizio Crozza, ma su Roberto Benigni, perché il comico toscano, partito dall’ambiente rustico di Firenze, è diventato ormai un’icona nazionale, anzi internazionale, anche in virtù di alcuni suoi film.
Ne ha fatta di strada il Benigni nazionale dalle sue prime esibizioni in quella recondita e piccola televisione privata, e siccome lui è toscano e mezzo fiorentino (è nato il 27 ottobre 1952 a Manciano Misericordia, Arezzo), è quasi naturale che sia amante di Dante Alighieri, che creda di conoscerlo bene (o almeno così fa intendere), e quindi voglia divulgarlo. Perché lui può farlo, è ammirato e osannato, alza l’audience, e quindi riportiamo allegramente il padre Dante al popolo, come avveniva in tempi passati. Ma come si realizzava questa volgarizzazione della Divina Commedia? In modo reverente per il personaggio, ma non propriamente fedele per la comprensione del testo, che non si ferma solo all’Inferno, come succede per le applaudite recite del giullare di Misericordia.
Una questione, come detto, antica. Già il Petrarca, in una lettera al Boccaccio del 1359, confidava di aver tralasciato la poesia in volgare per non essere “maltrattato”, come accadeva per l’Alighieri, dalla gente ignorante e ottusa: “… questi sciocchi lodatori i quali non sanno mai perché lodano né perché biasimano, e infliggendogli (a Dante!) la più grave ingiuria che si possa recare ai poeti, sciupano e guastano, recitandoli, i suoi versi, del che io, se non fossi cosi occupato, farei clamorosa vendetta. Non posso invece se non lamentarmi e disgustarmi che il volto della sua poesia venga imbrattato e sputacchiato dalle loro bocche”.
A distanza di secoli le cose non sono cambiate, ma in maniera grossolana degradate, data anche la presenza di mezzi di comunicazione di massa e delle stesse Istituzioni prone ai personaggi-icona che godono delle simpatie delle folle, se Amato Maria Bernabei, abruzzese di origine e padovano di adozione, docente di materie umanistiche e scrittore, si è sentito in obbligo di scrivere un tomo puntiglioso, documentato e argomentato, con titolo da dilemma perentorio, O Dante o Benigni (Arduino Sacco Editore, Roma 2011, con cd audio in omaggio promozionale), che esprime già tutto su un argomento tanto spinoso quanto sottovalutato. II perché è facilmente intuibile: Roberto Benigni è una star da tempo universalmente riconosciuta, di stampo nazional-popolare, un comico toscano cui tutto è permesso e convalidato, anzi laureato “honoris causa” proprio per meriti culturali, soprattutto per la sua divulgazione della Divina Commedia (in realtà del solo Inferno). Che poi si vada a sottilizzare su quello che recita, anzi che si vada a far le pulci su certi suoi sproloqui, come si è permesso Bernabei, beh, questa sì è opera odiosa, politicamente scorretta, degna di un vade retro da parte dell’opinione (e della cultura) pubblica.
Bernabei, quel cattivo, si permette peraltro non solo di far le pulci alla preparazione letteraria e filologica del comico toscano, ma pure alla sua dizione, alle battute grasse, a quanto ha guadagnato dalle sue acclamate esibizioni su “Tutto Dante”. Sentiamo l’autore: «Incasso totale: 7.500.000 euro (14.522.025.000 di lire), per circa 19 ore di prestazione (16 delle quali “virtuali”, cioè registrate): altro che i calciatori!… Per quale spettacolo? – si chiede sempre Bernabei – “Può darsi pure che all’origine tutti gli uomini avessero tre o quattro piselli, no?”. E per quale tenore culturale??… “Vede queste due che abbracciati vola e lui gli interessa queste due anime”… Che ne pensa l’operaio che ha applaudito il comico? Operaio che, se per fortuna guadagna 1.500 euro al mese, dovrà lavorare 1.666,6 mesi (più di 128 anni, tredicesima compresa) per arrivare a guadagnare la somma che Benigni, il 29 novembre 2007, ha portato a casa in due ore e quaranta (15.625 euro al minuto, dieci mesi e mezzo di lavoro in 60 secondi)? Somme spropositate, vergognose, offensive, tanto più in tempi di crisi, soprattutto per un alfiere del proletariato e per l’inaccettabile tasso culturale esibito (come dimostreremo). Tutto questo è scandaloso. La nostra epoca, del resto, ci ha resi indifferenti agli scandali, che noi stessi, con i nostri comportamenti, alimentiamo».
Ci si ferma qui con la citazione dell’autore, che diventerà poi ancora più caustico in pagine successive. Intanto sarebbe da prendersela anche con i caporioni della Rai che dispongono simili compensi. Benigni sarebbe un babbeo a non accettarli, ma il discorso esulerebbe troppo. Piuttosto, a che servono le discussioni se l’insegnamento della Divina Commedia nelle scuole superiori sia “cogente” o meno, se Benigni abbia fatto opera comunque divulgativa, su come Dante debba essere proposto ai ragazzi del terzo millennio, quando ci sono insegnanti che si rifiutano di affrontarlo e gli preferiscono Elsa Morante (magari per le opinioni di Gianna Nannini), o lo dichiarano semplicemente “inaccettabile” o “regressivo” per certe sue posizioni dogmatiche? Non sarà certo Benigni a far cambiare idea a questi maestri. Spiace in ogni caso che un libro impegnato e profondo come questo, e per le questioni che tratta, non abbia trovato spazio presso un grande editore. L’argomento lo meritava. Dante è patrimonio universale.
Lo ha ribadito recentemente in un’intervista (inserto “La Lettura” del Corriere della Sera del 23 settembre scorso) un vero maestro e divulgatore dell’Alighieri, Vittorio Sermonti (che per Giunti ha recentemente approntato un cofanetto con il racconto e il commento delle tre cantiche e tre Cd audio, affiancati da un eBook Voice con voce e immagine rivolto, pare, anche o forse soprattutto al pubblico giovane). Richiesto di un parere sulle performances di Benigni, Sermonti è apparso diplomatico e tollerante: “Associare Dante al gaio buonsenso e all’attonito buon cuore dei nostri concittadini non è esattamente quello che io tento di fare da due decenni e mezzo. Benigni lo fa benissimo, perché ha straordinarie risorse di comico e buona cultura. Questo giova a Dante? Chissà. La statua di piazza Santa Croce non batteva ciglio… D’altra parte, grazie al cielo, Dante non è di nessuno ed è di tutti”.
Gianluigi Peretti
dalla rivista “La Nuova Tribuna Letteraria” (Anno XXIII, N. 109, Venilia Editrice, Padova)
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La Rete è il polso delle patologie della nostra epoca.
In Internet c’è la risposta a qualunque interrogativo per chi cerchi di dare una spiegazione alle aberrazioni di cui il nostro sistema è artefice e vittima; per chi voglia sapere in che modo l’opinione pubblica venga condizionata, guidata dai timoni che impongono le mete, orientano le rotte, dettano i criteri del valore, ingiungono le “scelte”, stabiliscono i prodotti dello smercio e i tempi delle fiere, in un’ottica che non mira ad altro che al profitto, sempre e comunque, nel disprezzo di ogni principio etico e senza alcun rispetto per l’uomo.
Capita così che un segretario d’azienda (con tutto il rispetto per chi esercita questa professione in maniera competente) possa permettersi di improvvisarsi esegeta della Commedia, possa far credere alla gente di essere un luminare, diffondere la convinzione che Dante è “popolare”, che ha scritto in volgare per dare in pasto a tutti il suo capolavoro; possa spacciare per danteschi, pensieri che il Sommo Poeta non ha mai scritti; possa travisare, manipolare, forzare allo show e all’avido interesse un’arte sublime, offendendola.
E la folla ripete la scelta di Barabba, e difende il proprio idolo ripetendo sempre le stesse, poche, infondate giustificazioni: Benigni è un gigante della cultura, Benigni ha avvicinato Dante alla gente comune, Benigni ha portato la Commedia nelle piazze e soprattutto in tv, redimendo il “trash”…
La spazzatura, purtroppo, ha vesti varie: forse la peggiore è quella che si traveste.
I danni? Eccone uno degli innumerevoli:
“Benigni è un uomo di grande cultura, questo è un fatto incontrovertibile. Un uomo che conosce a memoria la divina commedia, cosa che tantissimi docenti universitari del campo dantesco non conoscono. Poi chiaro che non si può pretendere una spiegazione della costituzione come da un insegnante di diritto (che magari poi di Dante sa poco e niente, chiaro che nel proprio campo si è bravi e preparatissimi, essere uomo di cultura è chiaramente un’altra cosa). Ma è fuori ogni ragionevole dubbio che Benigni perché lo ha dimostrato più e più volte è un uomo di grande cultura in quasi tutti i campi dello scibile, che chiaramente non vuol dire sapere tutto su ogni singolo aspetto del sapere. Anche Umberto Eco è un uomo di cultura perché sa tanto di arte, letteratura, linguaggio,televisione. Non è che dico che cultura non ne ha perché sa poco di scienze e fisica. Di Leonardo Da Vinci uno solo ne è nato” (commento di vale9001).
Imparare a memoria “la Divina Commedia” (Benigni ha dichiarato in un’intervista di averla cominciata a memorizzare poco più di una decina di anni fa. Per un motivo semplicissimo, aggiungo io: business… Una decina di Canti ogni due anni e i milioni sono pronti!) non è cultura: anche una persona ignorante dotata di buone facoltà mnemoniche, può farlo, senza capire quello che ripete (capita anche a Benigni…) [1].
La favola della grande cultura di Benigni viene ripetuta come un disco da quei suoi fan che evidentemente di cultura ne hanno proprio poca per accorgersi dei continui strafalcioni del comico “in quasi tutti i campi dello scibile”. Non scherziamo con il sapere, non accostiamo, chi stenta perfino a parlare, addirittura ad Umberto Eco! Altro che “fatto incontrovertibile”!
Non ci si lasci ingannare dai riconoscimenti “accademici” e dal plauso mediatico. Un mondo che conferisce lauree honoris causa a Valentino Rossi, a Vasco Rossi, a Benigni e simili non è degno di alcun affidamento.
Mentre i fan vantano meriti che non esistono, e lo fanno alla cieca, senza cognizione di causa, io ho approfondito il caso-Benigni e ho dimostrato in circa 350 pagine di libro la precaria preparazione del comico, profilando le negative conseguenze di una divulgazione d’ignoranza acclamata e premiata oltre ogni liceità.
Amato Maria Bernabei
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[1] Intervista pubblicata la prima volta su Oggi7, l’inserto domenicale di America Oggi. «E da dove è nata l’idea di fare le letture dantesche? È nata così, casualmente, perché io leggevo La divina commedia così, per divertimento. Sapevo alcune terzine a memoria. Poi nei periodi fra un film e l’altro ho voluto imparare alcuni canti interi a memoria, così anche solo per il suono, come uno impara una canzone. Eppoi io facevo il cantore di ottava, sai? Improvvisatore di poesia, quando ero piccolo. Mio padre mi aveva mandato sul palco, allora per esercitarmi io imparavo, come quasi tutti gli altri, l’Ariosto (perché ha scritto in ottava). La terzina non si adattava al canto improvvisato perché non finisce mai. (Considerazione sciocca! Dante chiude sempre, alla fine di ogni Canto, la catena; n.d.a.) Ma l’ottava è la più difficile. Come dice Borges, l’ottava fa impazzire. Quando uno impara a fare l’ottava può fare tutto. Allora con Dante avevo già una dimestichezza e la lectura dantis ha una tradizione centenaria».
Molto bello il blog… però aspetto nuovi post, è da troppo tempo che non ci sono aggiornamenti. Vabbè, intanto mi sono iscritto ai feed RSS, continuo a seguirvi!
Hai ragione, Domenico. Non sempre si riesce a fare tutto ciò che si vorrebbe e in questi ultimi tempi parecchi impegni sovrappostisi mi hanno impedito di pubblicare nuovi post. Cercherò di tornare presto al lavoro su questo blog. Grazie per la tua stima.