I sacerdoti della moderna religione del vuoto proliferano: ad ogni angolo, inattesi, predicano la “cattiva novella” di una degenere stima del brutto, del-l’approssimazione, dei fiacchi surrogati, dell’ignoranza, a danno del bello, dell’ordine e della pertinenza, della genuinità, della conoscenza. Sicché Ligabue, “poeta, filosofo e maestro di vita“, può sopravanzare Mozart nella musica e Dante nel verso, la mediocrità scavalcare la genialità.
Dante – Ligabue 0 – 1… Il risultato demenziale di una partita improponibile. Ma in Internet qualcuno stravede e straparla…
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Dante 0 – Ligabue 1
«Se provate a chiedere ai giovani se preferiscono leggere Dante o ascoltare Ligabue (o una qualunque altra stella della musica contemporanea), probabilmente il nostro grande” poeta ne uscirebbe con le ossa rotte. In effetti, se non lo insegnassero a scuola, oggi pochissimi leggerebbero Dante, la prova più evidente che il suo messaggio di moderno non ha nulla. Chi se lo ripassa la sera? Tanti però continuano a fare sfoggio di cultura citando qua e là qualche frase (parliamoci chiaro, una frase in sé non può certo fare la grandezza di un autore, al più può far piacere leggerla sull’involucro di un cioccolatino): “La bocca sollevò dal fiero pasto” oppure “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”, in una sorta di autopromozione intellettuale. Un amico: “ieri ho sentito Benigni commentare la Divina Commedia, è stato bellissimo”: peccato che non sappia parlare e scrivere in un italiano decente.
L’effetto placebo non esiste solo in medicina: sapere che una frase è di Dante o che un pezzo è di Mozart ti fa sentire culturalmente meglio, anche se poi il tuo animo è già morto.
Che c’entra il titolo dell’articolo? Mah, a me piace Ligabue e sicuramente i suoi testi li ritengo migliori della Divina Commedia o dei Promessi Sposi che a me hanno dato pochissimo, visto che dipingevano un uomo lontano mille miglia da me. Molte “canzonette” sono uno spaccato di vita contemporanea che può insegnare qualcosa, mentre opere superate dal tempo possono insegnare la musicalità della lingua, ma nulla più; considerate le altre discipline: chi si farebbe curare con la medicina di Ippocrate? Se pensate che l’animo umano sia rimasto quello di 500, 1.000, 2.000 anni fa, che cioè sia immutabile, tanto vale pensare che sia rimasto quello dell’uomo delle caverne. Come vedete dal titolo, i classici giocano in casa perché so che tutti coloro che hanno una mentalità umanistica staranno cercando in quale girone infernale mandarmi.
Pazienza, ma dovrebbero spiegarmi come io potrei apprezzare un romanzo come I promessi sposi, nel quale aleggia in ogni pagina un’improbabile Provvidenza, dopo il confronto di un pezzo come Vivo Morto o X, che descrive milioni di sopravviventi senza speranza e senza il lieto fine provvidenziale. Oppure dovrebbero spiegarmi come posso studiare un classico come il Carducci che per la morte del figlio scrive Pianto antico, una filastrocca dal ritmo allegro quasi irriverente, incompatibile con il vero dolore, dopo che ho ascoltato Il giorno di dolore che uno ha.
Forse se i professori facessero letteratura comparata i ragazzi studierebbero di più…».
Roberto Albanesi
Tratto dal sito dell’high people http://www.albanesi.it/Raziologia/ligabue.htm
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“Forse” il periodo ipotetico iniziale (secondo tipo o della possibilità) avrebbe “preferito” il congiuntivo imperfetto all’indicativo presente: “Se provaste (non se provate)… Dante ne uscirebbe”… Sono cose che capitano ai superficiali relativisti che trasformano l’assolutezza di certi valori in opinabile rilevanza (o addirittura in irrilevanza), soggetta a parametri di attualità, quando questa sia intesa riduttivamente come adeguamento alle esigenze – se create ad arte non importa – di un tempo rispetto ad un altro, sicché perfino la norma sintattica è violabile in funzione di una comoda rinuncia alla conoscenza ed ai suoi derivati.
Poter affermare che i testi di Ligabue sono più nobili di quelli di Dante o di Manzoni, e che le “melodie” di una “stella” della musica moderna superano il sublime mozartiano, è frutto di un’ingestione massiccia di allucinogeni, per quanto metaforici, che distorcono la “realtà reale” sostituendola con una realtà mistificata!
Non si tratta, illustre detrattore delle antiche grandezze – si ricordi che la vera grandezza scavalca le epoche – di stabilire se Dante e Shakespeare siano inadatti per la valutazione della minigonna o del computer, ma di saper estrarre l’universale umano dalle opere dell’intelletto. Troppo facile attribuire alle contestazioni spicciole, alle mode, alle ignoranze, al gratuito filosofeggiare degli sciatti predicatori di un’epoca di decadenza, qualità d’arte solo in merito a una vagheggiata aderenza ai problemi correnti! Non mi venga a dire che le ludiche sculture in pongo, o in das, di un bambino, superano i tratti marmorei delle opere di Fidia o di Michelangelo, non più attuali, obsolete, perché realizzate con materiale “antiquato”, non rispondenti alle odierne istanze e alla moderna sensibilità, magari malata.
“Perché il nostro tempo e quello passato siano davvero contemporanei è necessaria una continuità anche spirituale. Solo nel riconoscere e trasmettere una tradizione, il presente può arricchirsi di uno straordinario patrimonio spirituale ed esprimersi interamente. Continuità con il passato accessibile a tutti […], perché ci sia un futuro, e perché questo futuro possa essere ricordato. Lo studio dei predecessori soltanto può consentirci di divenire originali, legati alle nostre origini. Del resto, la storia non è un progresso lineare, ma sempre ci accompagna nella sua totalità. Scriveva Confucio: “Io trasmetto l’insegnamento degli antichi, senza creare nulla di nuovo, perché esso mi sembra degno di fede e di adesione”. E aggiungeva Goethe: “L’antico non è classico perché è antico, ma perché è vigoroso, pieno di vita, di gioia ed è sano” (Gabriella Sica, Scrivere in versi, Il Saggiatore, 2011).
Il problema vero è quello della conoscenza e del duro impegno che essa richiede.
Troppo facile, ancora, ascoltare ed apprezzare Ligabue che trascina note – con la sua voce roca e un po’ muggente -, che dovrebbero essere “musica” per elevati concetti e parole di grande rilievo estetico, quali “Beh benvenuto qui fra luce e confusione / nessuno che ti ha chiesto se volevi, / se volevi uscir di là, là” (tanto per addurre un esempio). Mi chiedo se lei possieda udito e gusto educati al bello”… Il cacofonico belato “beh be… nvenuto”, il giudizio banalmente adolescenziale che impugna una nascita non richiesta, il balbettio “lallante” uscir di là, là, quale arte annuncerebbero? come potrebbero essere oggetto di confronto con le inarrivabili terzine dantesche, le quali non sono soltanto “musicalità della lingua”, ma consapevolezza profonda del senso della vita e dei suoi battiti, dei suoi perenni, insoluti quesiti, della sua fragilità e della sua forza, dei suoi tormenti e delle sue letizie…? o con la prosa ineguagliabile del Manzoni, sorvegliata, raffinata, elegante veste per contenuti alti ed eterni? Si astenga dalla cattedra che eleva improponibili, illetterati pensieri di questa risma: “Quando indietro non si torna quando l’hai capito che / che la vita non è giusta come la vorresti te”… Si vergogni di decantare pessime sgrammaticature e insulsaggini della mente, o volgarità “demagogiche” come l’immancabile merda, contribuendo al deterioramento del gusto artistico, alla nobilitazione del niente, alla giustificazione dei mercanteggiamenti che mirano a lasciare al buio l’ignoranza solo per venderle qualunque merce scadente spacciandola per oro fino. Non ci interessa la “canzonetta-spaccato di vita quotidiana che può insegnare qualcosa”… Cosa? La squallida quotidianità della stupidità, della rozzezza, dell’asineria? Bella educazione è stata imposta ai giovani che preferiscono Ligabue a Mozart e all’Alighieri!
Lei impari qualcosa di più da versi come “fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza” (Inf., XXVI, 119.120), che ben si adattano a consiglieri del suo stampo, perenni uomini delle caverne (pur sempre uomini comunque) e lasci perdere i “ligamucca” di turno, che non hanno da insegnare alcunché a nessuno!
Le assicuro che la mia citazione non è “autopromozione intellettuale”, medicamento d’acqua zuccherata per restituire salute alla credula psiche, ma riferimento e ammaestramento di straordinaria attualità per tutte le pecore (high people?) senza conoscenza che affollano i pascoli dei pastori dominanti e di tutti i soggetti che, come lei, si atteggiano a maestri, benché poco possano ricevere (e tanto meno dare) dal sapere e dall’arte, veri, di ogni tempo e senza tempo.
Amato Maria Bernabei
Un saggio delle bovine cadenze canore del novello Mozart:
I muggiti di Liga-Bue
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